Jules Michelet (1798-1874) è stato uno dei maggiori storici dell’ottocento e cattedratico di storia moderna della Sorbona. Cosa c’entra Michelet con Lovacraft? Apparentemente niente a meno che non si prenda in considerazione il suo lavoro più discusso: La strega; opera con la quale mise a rischio la sua reputazione di storico.
Vediamo cosa c’è di tanto eccezionale in saggio sulla figura della strega e cosa lo avvicina in qualche modo al Solitario di Providence. Il primo indizio ci viene dal giudizio di Roland Barthes, secondo il quale La strega esprime una «formidabile ambiguità» fra romanzo e analisi-storica.
Per non portarla troppo a lungo quello che Barthes afferma è che Michelet sia un esploratore e un inventore di miti. E questo non può non farci pensare a quel grande inventore che è stato Lovecraft. Entrambi vivono l’approccio con la verità in modo dinamico ovvero come un problema in continua evoluzione e che quindi necessita di una soluzione variabile.
Tutti sappiamo che la figura della strega ha almeno due punti di vista: il primo è quello della Chiesa che l’ha inventata o meglio l’ha plasmata alle fobie del clero; l’altro è quello realistico, che descrive queste donne accusate di cose orrende ma colpevoli solo di azioni fuori dal comune.
Nel suo libro Michelet per trovare una soluzione al problema di definire la vera figura della strega, decide di fondere queste due visioni, entrambe determinanti la loro sorte.
Secondo M. la strega può essere* bella e giovane o brutta e vecchia, buona o cattiva; visioni che combinate diversamente danno origine al mito e alla persecuzione. Il tutto ha inizio durante i primi secoli del medioevo quando la donna da elemento insignificante della famiglia allargata e patriarcale comincia ad allontanarsi dalla casa d’origine per inseguire i sogni di una famiglia propria assieme allo sposo. Ma le cose non sono semplici i posti da colonizzare sono sempre più lontani dall’abitato: in montagna e nei boschi, ma anche qui non è facile trovare di che sopravvivere e allora gli uomini partono per la caccia e stanno via settimane a volte mesi, lasciando la propria consorte in balia degli stenti e delle allucinazioni che ne conseguono in forma di sogni.
Ed è a questo contesto che lei deve adattarsi: si guarda intorno sperimenta piante commestibili, rimedi e soprattutto si confronta con altre disperate; ma è a questo che accade il miracolo: la donna si libera, è autosufficiente e balla per la felicità e per la prima volta vola sulla scopa**, strumento simbolo del ruolo che l’attanaglia e diventa il mezzo per raggiungere il suo amante: Lucifero.
Mentre tutto ciò sta accadendo il marito rientra dalla caccia dopo mesi d’assenza e, terrorizzato da ciò che vede, grida: «alla strega!».
Michelet non ha problemi a mescolare la realtà vissuta con quella fantasticata, ideata dai carnefici, perché le due identità coincidono al punto che separarle è la via più breve per la menzogna.
Tutto quanto detto finora può essere traslato all’opera di Lovecraft: le dissertazioni sull’esistenza del Necronomicon sono inutili e lontane dalla ricerca della verità; perché oggi ciò che esiste di questo testo è di gran lunga superiore a ciò che non esiste. Stiamo di fatto assistendo alla nascita di un archetipo (benché ancora molto incerto e sconclusionato), niente di tanto diverso da quanto successe a seguito del passaparola millenario che si è depositato nel testo sacro più imponente della storia dell’uomo: la Bibbia.
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(*) Sprenger afferma: “gli stregoni contano poco”, “l’eresia è delle streghe” quindi della donna. Malleus Maleficarum, 1487, Kramer e Sprenger.
(**) La legenda della scopa nasce da un fatto reale: gli unguenti preparati con piante come la belladonna sono allucinogeni e se cosparsi sulle mucose vengono assorbiti dando una sensazione di leggerezza simile al volo. Le donne rimaste sole per molto tempo nelle loro case isolate nel cospargevano I manici di scopa con I quali si davano piacere.