bibliofollie

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martedì 26 ottobre 2010

La strega e il Necronomicon

Jules Michelet (1798-1874) è stato uno dei maggiori storici dell’ottocento e cattedratico di storia moderna della Sorbona. Cosa c’entra Michelet con Lovacraft? Apparentemente niente a meno che non si prenda in considerazione il suo lavoro più discusso: La strega; opera con la quale mise a rischio la sua reputazione di storico.
Vediamo cosa c’è di tanto eccezionale in saggio sulla figura della strega e cosa lo avvicina in qualche modo al Solitario di Providence. Il primo indizio ci viene dal giudizio di Roland Barthes, secondo il quale La strega esprime una «formidabile ambiguità» fra romanzo e analisi-storica.
Per non portarla troppo a lungo quello che Barthes afferma è che Michelet sia un esploratore e un inventore di miti. E questo non può non farci pensare a quel grande inventore che è stato Lovecraft. Entrambi vivono l’approccio con la verità in modo dinamico ovvero come un problema in continua evoluzione e che quindi necessita di una soluzione variabile.
Tutti sappiamo che la figura della strega ha almeno due punti di vista: il primo è quello della Chiesa che l’ha inventata o meglio l’ha plasmata alle fobie del clero; l’altro è quello realistico, che descrive queste donne accusate di cose orrende ma colpevoli solo di azioni fuori dal comune.
Nel suo libro Michelet per trovare una soluzione al problema di definire la vera figura della strega, decide di fondere queste due visioni, entrambe determinanti la loro sorte.
Secondo M. la strega può essere* bella e giovane o brutta e vecchia, buona o cattiva; visioni che combinate diversamente danno origine al mito e alla persecuzione. Il tutto ha inizio durante i primi secoli del medioevo quando la donna da elemento insignificante della famiglia allargata e patriarcale comincia ad allontanarsi dalla casa d’origine per inseguire i sogni di una famiglia propria assieme allo sposo. Ma le cose non sono semplici i posti da colonizzare sono sempre più lontani dall’abitato: in montagna e nei boschi, ma anche qui non è facile trovare di che sopravvivere e allora gli uomini partono per la caccia e stanno via settimane a volte mesi, lasciando la propria consorte in balia degli stenti e delle allucinazioni che ne conseguono in forma di sogni.
Ed è a questo contesto che lei deve adattarsi: si guarda intorno sperimenta piante commestibili, rimedi e soprattutto si confronta con altre disperate; ma è a questo che accade il miracolo: la donna si libera, è autosufficiente e balla per la felicità e per la prima volta vola sulla scopa**, strumento simbolo del ruolo che l’attanaglia e diventa il mezzo per raggiungere il suo amante: Lucifero.
Mentre tutto ciò sta accadendo il marito rientra dalla caccia dopo mesi d’assenza e, terrorizzato da ciò che vede, grida: «alla strega!».
Michelet non ha problemi a mescolare la realtà vissuta con quella fantasticata, ideata dai carnefici, perché le due identità coincidono al punto che separarle è la via più breve per la menzogna.
Tutto quanto detto finora può essere traslato all’opera di Lovecraft: le dissertazioni sull’esistenza del Necronomicon sono inutili e lontane dalla ricerca della verità; perché oggi ciò che esiste di questo testo è di gran lunga superiore a ciò che non esiste. Stiamo di fatto assistendo alla nascita di un archetipo (benché ancora molto incerto e sconclusionato), niente di tanto diverso da quanto successe a seguito del passaparola millenario che si è depositato nel testo sacro più imponente della storia dell’uomo: la Bibbia.



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(*) Sprenger afferma: “gli stregoni contano poco”, “l’eresia è delle streghe” quindi della donna. Malleus Maleficarum, 1487, Kramer e Sprenger.
(**) La legenda della scopa nasce da un fatto reale: gli unguenti preparati con piante come la belladonna sono allucinogeni e se cosparsi sulle mucose vengono assorbiti dando una sensazione di leggerezza simile al volo. Le donne rimaste sole per molto tempo nelle loro case isolate nel cospargevano I manici di scopa con I quali si davano piacere.

domenica 17 ottobre 2010

Scrittori inesistenti di libri introvabili

In questo giorni ho scoperto che i libri introvabili non sono l’unica anomalia artistica nel campo letterario, ben più folle è il concetto di scrittore inesistente.
Ne è un nobile esempio la Enciclopedia degli scrittori inesistenti, curata da Giancarlo Marino e Aldo Putignano, contenente centinaia di schede riferite a scrittori non vissuti e generi letterari mai nati.

Dalla prefazione:

“In questo bizzarro volume si muovono infatti scrittori che non sono mai esistiti e opere che nessuno può aver letto: una teoria di personaggi più o meno verosimili, che attraversano infinite epoche e culture, da Adamo ai robot scrittori del futuro, dai popoli dell’antichità al medioevo cristiano, dal romanticismo alle avanguardie.”

Tra le altre schede spicca quella su Ignazio Beneduce, autore di un falso Necronomicon dalla descrizione estremamente interessante:

Beneduce Ignazio (Nettuno, Roma ? - ?) teologo, archeologo, storico e linguista. Viene ritenuto uno dei maggiori esperti sulle lingue di origine semitica. A Roma dal 1898, entrò a far parte della Compagnia di Gesù. Nel 1906 i suoi superiori lo inviarono al Cairo presso il collegio secondario gesuita della Sacra Famiglia, la motivazione ufficiale del viaggio fu lo studio della lingua araba, in realtà ebbe il compito di indagare sul confratello francese Pierre Teilhard de Chardin.
In questo periodo B. visitò più d’una volta la vicina biblioteca di Alessandria, San’a nello Yemen del Nord e il deserto. Nel 1908 rientrò a Roma e pubblicò Antichi culti e nuove minacce. Un testo unico, nel quale B. descrive divinità dimenticate; sua peculiarità è la complessa struttura letteraria, la cui architettura, simile al mantra, causa un senso di profonda vertigine; ad oggi non esistono testi analoghi.
Tra il 1910 e il 1921 studiò il rapporto tra l’evoluzione delle lingue semitiche e l’affermazione di alcuni testi sacri quali il Corano, la Bibbia, la Torah e altri. Nel 1927 pubblicò il saggio Scrittura nella lingua di Dio, rivoluzionario strumento per la comprensione della comunicazione tra Dio e l’uomo. Nel 1928 ebbe incarico dal Sant’Uffizio di stilare un indice dei libri blasfemi di ogni tempo. Iniziò così un viaggio che durerà quasi trent’anni; girerà l’Europa per poi spingersi fino in Cina, Africa e due volte negli Stati Uniti, nel 1935 e nel 1954.
Nel marzo del ‘55, a New York, fu coinvolto in uno scandalo; il Vaticano si affrettò a farlo rientrare. Se ne perdono le tracce per qualche tempo ma è noto che passò gli ultimi anni della sua vita in esilio presso il convento dei Camaldoli di Napoli, dove probabilmente morì. Durante gli anni Napoletani rivide i suoi scritti e, immobilizzato a letto, dettò le sue memorie. Alcuni studiosi sostengono che sia stato lui a elaborare la teoria NNE (Nekros Nomos Eikon), secondo la quale esisterebbe un archetipo unico da cui hanno preso avvio i testi sacri di ogni religione. A parere degli stessi, le sue idee sarebbero state raccolte nel volume a stampa manuale (1978) dal restauratore Apollo Carli che lo chiamò Necronomicon, ritenendo che esso riassumesse l’essenza del noto pseudobiblion citato da H.P. Lovecraft.

L’opera. Il testo è costituito di quattro parti, l’introduzione e tre libri: Dei Morti: Nel quale si descrivono esseri biasimevoli ed assai pericolosi per l’umana specie. Qui si parla della loro forma, dei luoghi che essi preferiscono abitare e di quant’altro ci è stato possibile render chiaro alli stimati nostri lettori. Dei Canti: Nel quale si trovano quelle cose utili e necessarie al dialogo con esseri che per loro natura sono indifferenti all’uomo. Si ritiene che senza queste arcane informazioni non vi sia modo alcuno di comprenderne i moti. Del Simulacro: Nel quale vengono narrate le vicende di un meritevole ed antico viaggiatore che ha potuto vedere e tramandare tutte le cose che in quest’opera sono mostrate e molte altre che sono avvenute prima e dopo di lui.
Evidente ripartizione secondo le tre parole greche del titolo: “dei morti”, “dei canti”, “del simulacro” ossia nekros, nomos ed eikon. Non esistono tracce di questo libro, né del suo autore; ne rimane il ricordo di qualcuno che lo ha conosciuto.

L’autore di questo piccolo ma prezioso trattato è un tale Vinicio Lamia, con il quale sto cercando di mettermi in contatto, per adesso senza successo alcuno; che sia inesistente anche lui?



lunedì 4 ottobre 2010

Lovecraft inventore

Dopo l’intermezzo della settimana scorsa dedicato al cinema e alla lavorazione del film di prossima uscita diretto da Guillermo Del Toro, torniamo al nostro argomento principale: il Necronomicon.
Cedendo alla tentazione di riassumere le “puntate” precedenti ricordando che abbiamo parlato di quale sarebbe l’estetica del Necronomicon se questo esistesse e fosse legato in pelle umana; abbiamo anche accennato alla realizzazione di legature antropodermiche, queste infatti non sono un’invenzione né di Lovecraft né un espediente da cinema orrorifico di serie B, si tratta piuttosto di una pratica poco comune ma comunque utilizzata nella legatura di più di un volume realmente esistito.
Ce ne dà conferma anche un libro di Guido Zigaina: Manuale di bibliofilia (Milano, Mursia, 1988) dove a pagina 9 troviamo questa efficace descrizione:

“[...] La pergamena e la cartapecora sono, infatti, pelli di animale; capra, montone, pecora, vitello, ecc., (e persino umana, come testimoniano, tra gli altri, una Bibbia ed un testo di Decretali - cioè le lettere contenenti le decisioni dottrinali dei papi raccolte a partire dal XIII secolo - conservate nella Biblioteca Nazionale di Parigi)”

Ma non è la Biblioteca Nazionale di Parigi la stessa citata da Lovecraft nella sua History of Necronomicon? (Fig.1)
Vediamo quindi cosa dice il nostro solitario riguardo lo pseudobiblia nel breve saggio che scrisse nel 1927 ad uso suo e dei suoi amici scrittori e lettori:

“Delle versioni latine attualmente esistenti, una (del XV secolo) è ben custodita nel British Museum, mentre un’altra (del XVII secolo) si trova nella Bibliothèque Nationale a Parigi” 

Fig.1 - H.P.L., History of Necronomicon
manoscritto autografo




Osservazioni:
Da quanto esposto mi sembra abbastanza chiara la coincidenza tra la scelta di H.P.L. e la citazione di Zigaina; essa può essere considerata interessante se ipotizziamo che Lovecraft e Zigaina facciano riferimento alla stessa fonte d’informazioni. Non perché utilizzare fonti omologhe sia un evento eccezionale, piuttosto perché questo significherebbe che Lovecraft aveva studiato più dettagliatamente di quanto immaginavamo l’ideazione dello pseudobiblia; da qui l’inevitabile osservazione che tutte le coincidenze che negli anni hanno reso verosimile l’esistenza del Necronomicon fossero state accuratamente studiate, e forse addirittura previste, dal nostro acuto scrittore o, come sarebbe giusto definirlo: inventore.