bibliofollie

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mercoledì 24 novembre 2010

Antitipografia - ovvero creare un libro inesistente

L’arte nera degli pseudoboblia

“Arte nera” era il nome con cui era anticamente soprannominata alla tipografia. Definizione calzante perché racchiude in sé due concetti: l’arte del lavorare con l’inchiostro inchiostro nero; ma anche l’arte di Lucifero.
La comprensione del secondo concetto è meno immediata ma, come vedremo, altrettanto lineare.
Verso la metà del XV secolo, periodo in cui nasce il libro a stampa, per la Chiesa ciò è “nuovo” è anche sinonimo di “male”: la conoscenza è pericolosa, soprattutto nelle mani di una massa da sempre sottomessa alle regole dell’ignoranza.
L’invenzione di Gutenberg (il torchio per la stampa a caratteri mobili) offre la possibilità di produrre centinaia di copie di un libro in tempi decisamente brevi rispetto a quelli occorrenti a stilare un codice manoscritto, ed a prezzi accessibili come mai prima di allora.
Gutenberg stesso potrebbe essere definito come il primo grande diffusore di conoscenza, il portatore della luce: il Lucifero.
Da quel momento i tipografi nascono e si moltiplicano come cellule impazzite; alcuni di loro, i più temerari, riducono la stampa dei testi in latino in favore di quelli in volgare, la lingua nascente del popolo compresa e parlata dalla massa; quella del libro diventa un’industria di successo.
La Chiesa è comprensibilmente spaventata: la stampa è l’arte del diavolo.
Siamo nel periodo più florido dell’Inquisizione, nasce l’Indice dei libri proibiti e molti anni trascorrono offuscati dai fumi neri dei roghi di streghe e di libri.
Contemporaneamente il clero prende confidenza con questo nuovo mezzo di diffusione delle idee e ne approfitta per plasmarlo a proprio uso; neanche i libri stampati “alla macchia”, ovvero senza i privilegi della Chiesa, riescono a contrastare la tendenza.
Ma ecco che s’intravede una luce proveniente da un passato più saggio che attraversa l’oscurità asfissiante dell’ignoranza monotematica della teologia e dei libri d’ore: il libro che non esiste, lo pseudobiblia.


Antitipografia ovvero come creare un libro inesistente
Ogni pseudobiblia è un testo trasversale che si arricchisce delle informazioni, dei conflitti e dei desideri di chiunque ne viene in contatto; dati alcuni vincoli iniziali il creatore lo lascia al suo destino che raramente riesce a controllare.

Tralasciamo il lato creativo dello pseudobiblia e quindi il lavoro dell’autore, in quanto esso è in tutto e per tutto identico a quello dello scrittore. La vera difficoltà sta nella pubblicazione di un libro del genere che, a ragion veduta, definiremo come introvabile. Ma questo è il lavoro dell’antitipografo.
L’antitipografo deve avere tutte le caratteristiche dell’uomo illuminato ed allo stesso tempo quella leggerezza d’animo che dovrà trasmettere alle sue opere.
La difficoltà non è nel mettere su carta un’idea, più o meno sensata, quanto astrarla da quel supporto ed elevarla ad oggetto palpabile all’immaginazione.
In questo Lovecraft si rivelato un maestro; essendo riuscito ad imprimere, non su carta ma nella mente dei posteri, con l’inchiostro nero della sua anima visionaria.

mercoledì 10 novembre 2010

Legami di pelle

Mi sono sempre chiesto se sia giusto considerare il Necronomicon un semplice grimoire. La quasi totalità dei testi magici conosciuti contengono formule o informazioni che servono a seconda dei casi ad evocare demoni, ottenere favori oppure sono un insieme ricette più o meno complesse per creare pozioni magiche, veleni e filtri d’amore. Tutta roba molto noiosa o molto divertente, come insegna Walt Dinsey.
In una buona biblioteca con una ricerca accurata è possibile trovare decine di libri a stampa di magia o di alchimia che promettono di insegnare a controllare gli elementi naturali, la volontà dell’uomo o a trasformare il piombo in oro. L’essere umano non è mai stato capace di rassegnarsi all’idea che siano tutte invenzioni e nel corso dei secoli ha cercato di reintegrare questi testi nella cultura della propria epoca decodificandone il significato attraverso significati simbolici, metaforici o filosofici. Di tanto in tanto qualcuno ha pensato di poterli riscoprire come vere fonti magiche com’è stato il caso del famoso occultista Aleister Crowley, o Eliphas Lévi, (pseudonimo di Alphonse Louis Constant).
In ogni caso si è sempre data molta importanza al contenuto piuttosto che all’oggetto; l’ossessione dell’uomo nei confronti della magia infatti è ingiustificatamente razionale: il contenuto del libro è più importante dell’oggetto, il senso è più importante della forma, e tutti gli studiosi di magia si sono concentrati sulle parole prima che sull’estetica. Benché questo sia il modo giusto modo di addentrarsi nello studio di qualsiasi altra materia esso risulta semplicistico nei confronti di una scienza come quella magica.
Lovecraft nella sua storia del Necronomicon ipotizza che possano esisterne più copie in diverse lingue ma non ci assicura che siano tutte altrettanto “utili”. In un precedente articolo abbiamo visto che l’esigenza di descrivere il N. come un testo rilegato in pelle di uomini e donne uccisi con la stregoneria, potesse essere dovuta a un’esigenza di protezione del suo contenuto dagli esseri che esso stesso controllerebbe. Inoltre il N. non sarebbe altro che una trascrizione (inizialmente greca) dell’archetipo arabo Kitab Al-Azif ) scritto da Abdul Alhzred e vergato su pergamena.
Proviamo ad andare oltre e, come in un’antica pozione, mettiamo insieme questi due elementi: pergamena in pelle umana che riveste il Necronomicon e pergamena sulla quale l’arabo pazzo avrebbe scritto il suo folle poema. E per amalgamare il tutto utilizziamo questa informazione: anticamente per risparmiare sui materiali per rilegare i libri si utilizzavano vecchie pergamene usate il contenuto delle quali sembrava poco importante. A questo punto non possiamo non immaginare che la copia perfetta del Necronomicon sia una ed una sola e che essa sia rilegata con la pergamena del manoscritto dell’originale Al-Azif, e che quella e solo quella copia sia in grado di evocare I Grandi Antichi.